L’art. 2- terdecies del c.d. codice della privacy & l’eredità digitale (analisi dell’ordinanza del Trib. di Roma 10.02.2022)

PREMESSA

Una pronuncia di una Corte di merito (Trib. Roma, Sez. VIII civile, ordinanza del 10.02.2022) affronta nuovamente il tema dell’eredità digitale in Italia. (Per approfondimenti sull’eredità digitale clicca qua).

La presente pronuncia è dal contenuto simile alla “storica” (in quanto primo caso di eredità digitale in Italia) ordinanza cautelare del Trib. di Milano (r.g. 44578/20 – già oggetto di commento al link sopra indicato): in entrambi casi, infatti, i ricorrenti agivano al fine di ottenere i dati digitali di un loro parente defunto conservati su un sistema telematico di archiviazione Apple (c.d. iCloud).

PARTE FATTUALE

L’Autorità giudicante romana veniva adita al fine di consentire alla ricorrente (vedova che agiva al fine di mantenere vivo il ricordo del marito) la possibilità di accedere ai contenuti digitali (quali foto, video e messaggi), conservati su un account iCloud, di un loro parente deceduto.

Il predetto ricorso veniva sollevato in via d’urgenza in quanto rilevava la parte ricorrente che l’inattività prolungata di un account iCloud, superiore a 6 mesi, comporta la cancellazione dello stesso.
Le ragioni che giustificavano la predetta richiesta del de cuius si basavano su motivi di caratterefamiliare meritevoli di tutela” ex art. 2-terdecies del Dlgs 196/2003 (c.d. codice della privacy – articolo introdotto dal Dlgs 101/2018).

La controparte, Apple Distribution International Limited, si opponeva alla richiesta della parte ricorrente evidenziando:
l’impossibilità di consentire a terzi (non espressamente autorizzati dall’utilizzatore dell’account – es. “account erede”) la possibilità di accedere ai dati archiviati su iCloud (pena la violazione delle condizioni contrattuali che regolavano il rapporto con il cliente Apple);
–  di aver introdotto tramite specifico aggiornamento “IOS” la possibilità di designare un “account erede” (facoltà non esercitata dal defunto);
– che l’esistenza di ragioni familiari meritevoli di protezione devono essere ravvisate in concreto dal giudice.

LA DECISIONE DEL TRIB. DI ROMA

Il giudice di Roma partendo dalla lettura del contenuto dell’art. 2-terdecies del codice della privacy osservava che:

1) la predetta norma (co. 1) consente a determinati soggetti quali:
– coloro che hanno un interesse proprio;
– coloro che agiscano come mandatari dell’interessato;
– gli eredi che agiscono per ragioni familiari meritevoli di protezione;
 di esercitare in via eccezionale (in quanto il suo considerando n. 27 esclude l’applicabilità del regolamento in materia successoria) le facoltà previste dagli artt. 15-22 del reg. 2016/679/U.E. (c.d. GDPR).

In via del tutto esclusiva il primo comma della norma consente ai soggetti indicati di esercitare: l’accesso ai dati personali (art. 15), la rettifica (art. 16) la cancellazione o “oblio” (art. 17), la limitazione dei trattamenti (art. 18), il diritto ad essere informato in caso di rettifica, cancellazione o limitazione di un trattamento (art. 19), il diritto alla portabilità dei dati (art. 20) e il diritto di opposizione (art. 21).

2) La norma preclude la possibilità di esercitare le predette attività (co. 2):
– quando tale esercizio non è ammesso dalla legge;
– quando l’interessato lo ha (prima di morire) espressamente vietato mediante una dichiarazione scritta o comunicazione orale.

3) La volontà del defunto (co. 3) di vietare di esercitare tali facoltà in relazione ai propri dati digitali deve apparire in modo non equivoco ed essere:
specifica (non volere che quei “documenti” vengano trasferiti);
libera (non viziata da errore, violenza o dolo);
informata (il defunto deve essere stato stato informato di come verranno trasferiti i suoi beni).

4) Il divieto (co. 5) di trasferire i predetti dati non deve comportare pregiudizi ai terzi.

Sulla base di quanto disposto dalla predetta norma, il Trib. di Roma aveva rilevato che la parte ricorrente agiva sulla base di un motivo) che la legittimava all’esercizio della richiesta di acquisire i dati del defunto.
Tale motivo consisteva in esigenze di “ragione familiari meritevoli di protezione” (ex art. 2-terdecies comma 1) sussistenti in quanto la ricorrente agiva al fine di “recuperare foto e filmati di famiglia destinati a rafforzare la memoria del tempo vissuto insieme ed a conservare tali immagini a beneficio delle figlie in tenera età”.

Le predette esigenze erano state ritenute prevalenti dal giudice adito sulle c.d. condizioni generali del contratto (art. 1341 c.c.) seppure quest’ultime fossero state accettate dal defunto. Tali clausole prevedevano la non trasferibilità a terzi del contenuto dell’account iCloud e che l’account stesso, con tutti suoi i dati ivi contenuti, si estinguesse con la morte del titolare.

Disponeva il giudicante che le condizioni generali del contratto, in difetto di una specifica approvazione delle clausole poste unilateralmente da Apple, non potevano dirsi sufficienti ad escludere il perseguimento del fine affettivo (e riconosciuto, seppure indirettamente, anche dall’ art. 2 Cost.) della ricorrente.

Pur non espressamente analizzato dal giudice romano è tuttavia evidente che: secondo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 1341 c.c. le condizioni generali del contratto devono essere specificamente approvate per iscritto; l’accettazione generica, es. mediante selezione della voce “accetta” alle fine di chilometriche (e che spesso non vengono lette causa la lunghezza dall’utente comune) clausole non può limitare l’esigenza di tutelare la famiglia.

Sulla base di tali argomentazioni il giudice ordinava ad Apple di prestare assistenza alla ricorrente per il recupero dei dati digitali del defunto contenuti sull’account iCloud.

La predetta ordinanza, appare rilevante per il prezioso commento effettuato sull’art. 2-terdecies del codice della privacy.

L’Autorità giudicante ha infatti evidenziato come la disposizione del codice della privacy consente la diffusione dei dati digitali agli eredi del defunto (co. 1) e precisa i casi e le modalità che escludono tale diffusione (co. 2 e 3).

In sostanza la presente ordinanza ci spiega che l’autodeterminazione del soggetto o le esigenze familiari/affettive o lavorative (es. nel caso di un mandato) devono prevalere sui vincoli contrattuali (accettati) con il gestore del servizio.

Tuttavia, l’ordinanza del giudice di Roma pone, indirettamente, l’attenzione anche su un problema già sollevato dagli studiosi in tema di eredità digitale:
il nostro legislatore non ha preso ancora posizione sull’eredità digitale; permangono quindi i dubbi circa come avvenga tale trasferimento mortis causa:
trattasi di una successione ereditaria (artt. 587 – 623 c.c.)?
di un legato (artt. 624 – 632 c.c.)?
altro (“una legittimazione iure proprio”)?

Tali risposte non possono essere ricavate dal codice civile, opera del 1942 e quindi assai lontana, anche solo dall’immaginare, problemi di matrice informatica.

Di:
Avv. Lorenzo Marranci– Avvocato presso Rocchi&Avvocati