PREMESSA LA DEMANIALITÀ DELLE ACQUE
Le acque sono beni demaniali: lo prescrive l’art. 822 c.c. (norma rubricata “demanio pubblico”). La norma precisa che “fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia (…)”. Il codice dell’ambiente, ossia il D.lgs 152/06, all’art. 144 (riprendendo il contenuto dell’art. 1 della abrogata legge Galli – l. 36/94) dispone come “tutte le acque superficiali e sotterranee (…) appartengono al demanio dello Stato”.
In quanto annoverabili tra i beni demaniali le acque non hanno un proprietario ma sono della collettività. Ciò vuol dire che un fiume che attraversa una determinata proprietà non appartiene al proprietario del fondo ma è un bene di tutti (ai sensi dell’art. 909 c.c. il proprietario del fondo ha tuttavia il diritto ad utilizzare le acque presenti nella sua proprietà).
Secondo la dottrina i corsi d’acqua sono pubblici nei suoi tre elementi inscindibili: acqua, alveo e sponde (A. MAZZA, voce teorica delle Acque Pubbliche). Inoltre, alla luce del D.lgs. 42/04 (Codice dei beni culturali e paesaggistici) i fiumi, i torrenti e i corsi d’acqua e le relative sponde per un’estensione di 150 m sono aree tutelate ex lege (tali aree sono sottoposte a tutela e vincolo paesaggistico – sul punto C.d.S., Sez. IV, Sent. 3264/14).
Sono sottoposte ad una disciplina speciale le acque termali e per uso geotermico.
CARATTERISTICHE DELLE ACQUE PUBBLICHE

In quanto beni appartenenti al demanio le acque sono inalienabili (ogni loro atto di trasferimento sarebbe nullo), indisponibili, inusucapibili, impignorabili “e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi stabiliti dalle leggi che le riguardano” (art. 823 c.c.).
La legge tuttavia non esclude forme di utilizzazione delle acque da parte dei privati.
Ai sensi dell’art. 2 del R.D. 1775/1933 (T.U. delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici) le acque pubbliche possono essere utilizzate da:
1) soggetti in possesso di un titolo legittimo – c.d. uso particolare/speciale;
2) soggetti che per trenta anni anteriormente alla pubblicazione della legge 2644/1884 (legge “concernente le deviazioni delle acque”) hanno utilizzato acqua pubblica, limitatamente al quantitativo di acqua e di forza motrice effettivamente utilizzata durante il trentennio;
3) soggetti titolari di una concessione – c.d. uso eccezionale.
A queste tre forme normativamente previste se ne aggiunge, secondo la dottrina e gli studi notarili (Studio n. 1196/1997), una quarta forma: uso comune/generale – quando l’utilizzo delle acque è consentito uti cives a tutta la collettività (es. navigazione su un fiume o più in generale funzione di consumo umano).
IL PARDOSSO DELLA (GESTIONE DELL’) ACQUA PUBBLICA
Anche se l’acqua è un bene comune, la sua gestione è affidata a soggetti privati – per tale ragione, per l’utilizzo di un bene qualificato come di tutti, siamo costretti a pagare delle bollette (c.d. paradosso dell’acqua pubblica).
La gestione delle acque è affidata a soggetti privati (che solitamente rivestono la forma di S.r.l. o di S.p.a.). Il D.L. 135/2009 (convertito in legge 166/09). – che di fatto ha favorita la “privatizzazione dell’acqua pubblica” – ha incentivato il ricorso al modello concessorio consentendo che soggetti privati dispongano, in modo pieno od esclusivo, della gestione dell’acqua.
Spetterà alla P.A. (il Comune) individuare l’operatore più economico ed affidargli la gestione del servizio idrico.
Nonostante i referedum del 2011 la gestione dell’acqua non è pubblica.
SII E ATO
Prevede l’art. 141 del Codice dell’ambiente che i servizi idrici integrati (abbreviati SII), gestiti secondo i principi di efficienza, efficacia ed economicità, sono costituiti “dall’insieme dei servizi di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civile, di fognatura e depurazione delle acque reflue”.
Il compito del gestore è di assicurare la cura degli acquedotti, delle reti fognarie e della depurazione delle acque.
I servizi idrici integrati erano operavano, fino al 2011, all’interno degli ambiti territoriali ottimali (ATO), ripartizioni territoriali ove operavano le Autorità di Ambito (art. 148 codice dell’ambiente).
L’art. 2, co. 186 bis della legge 42/10 ha disposto la soppressione delle Autorità d’Ambito ed ha posto in capo alle Regioni il compito di individuare nuovi soggetti cui affidare “le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. (tali funzioni per quanto riguarda la regione Toscana sono oggi affidate all’AIT – Autorità idrica toscana).
UTILIZZI DELLE ACQUE
Consumo umano

Il consumo umano è il principale scopo per cui utilizziamo l’acqua. Nonostante questa importantissima funzione solo il 20% delle acque pubbliche è utilizzata per soddisfare tale esigenza.
Numerose e molteplici sono le norme di diritto interno ed internazionale che regolano questa funzione (per approfondire clicca qua).
Balneazione

La balneazione è una finalità collettiva delle acque. Tranne alcune eccezioni non possono essere poste limitazioni alla balneazione. La giurisprudenza amministrativa precisa chei titolari delle concessioni devono consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione (C.d.S. ord. 2543/2015).
Non è consentita la balneazione:
– nelle aree protette “c.d. Zone A” (No-take- No-entry areas) ove per finalità di tutela dell’ambiente è vietata ogni attività, compresa la balneazione;
– ove la P.A. vieti con un suo provvedimento la balneazione per scarsa qualità delle acque;
– ove trattasi di acque presenti nel fondo di un proprietario. In questo caso non è proibita tanto la balneazione ma l’accesso – invito domino– nel fondo del proprietario (situazione che potrebbe generare l’applicazione del reato di cui. all’art. 637 c.p, norma rubricata ingresso abusivo nel fondo altrui).
Dal punto di vista normativo, la principale fonte in materia di balneazione è la direttiva 2006/7/CE (c.d. direttiva balneazione) recepita in Italia dal Dlgs 116/2008 e dal DM 30.03.2010 (per approfondimenti sul contenuto della direttiva clicca qua).
Navigazione

Il COLREG 72 è la principale fonte (a livello internazionale) in tema di navigazione; lo scopo di tale fonte è di evitare la collisione tra le navi o tra navi e bagnanti. Esso prevede le dotazioni che devono essere presenti a bordo delle navi ed il sistema delle precedenze in mare (Regole 13-18 COLREG 72).
Norme a carattere locale prevedono le distanze minime che i mezzi a motore devono rispettare al fine di non incorrere in sinistri con i bagnanti. Generalmente le navi non possono avvicinarsi a più di 100 – 200 metri dalla costa (spetterà ai concessionari di strutture balneari delimitare con gavitelli di colore rosso le aree in cui le navi non possono entrare).
Ordinanze locali possono prevedere limiti diversi (più restrittivi o permissivi) per l’ancoraggio delle navi.
Nelle aree protette c.d. Zona A e Zone B è proibita la navigazione con mezzi a motore.
Ordinanze locali prevedono regole specifiche in relazione alla navigazione lacuale, lagunare o fluviale; per quanto riguarda il fiume Po, al fine di navigare in sicurezza ed evitare pericoli sono presenti sugli argini del fiume determinati “segnali” di colore rosso e bianco.
Funzioni EX Titolo IV del Codice dell’ambiente (artt. 166 ss)
Il codice dell’ambiente identifica ulteriori forme di utilizzo delle acque:
1) Uso delle acque irrigue e di bonifica
L’art. 166 del codice prevede che i consorzi di bonifica ed irrigazione possono utilizzare per l’irrigazione dei campi e terreni:
– gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura delle acque reflue;
– gli acquedotti rurali ed altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica;
– acque fluenti nei canali e cavi consortili.
I consorzi per tali forme di utilizzo sono obbligati a corrispondere il pagamento dei canoni per le quantità di acqua utilizzate.
2) Uso agricolo
Ai sensi dell’art. 167, co. 1, del codice dopo il consumo umano deve essere assicurato l’utilizzo a fini agricoli delle acque. Di fatto, circa il 57% delle acque sono utilizzate per scopi agricoli.
Il codice dell’ambiente non tratta esplicitamente dell’agricoltura – tema trattato da apposite norme di settore.
L’art. 167, co. 3 – 4 prevede che l’utilizzo delle acque piovane contenute in invasi-cisterne (c.d. acque private) è libero; ai fini della raccolta delle acque piovane non è necessario disporre di alcune licenza o concessione.
Ulteriori utilizzi
Gli artt. 168 e 169 del codice indentificano senza normare o entrare troppo nel dettaglio due ulteriori finalità: l’uso idroelettrico delle acque e le attività di studio – ricerca. La materia è più approfonditamente disciplinata da normative di settore
L’ELENCO ED IL CATASTO DELLE ACQUE PUBBLICHE
ELENCO DELLE ACQUE PUBBLICHE – L’art. 39 della legge 2644/1884 (successivamente disciplinato dal R.D. 1775/1933) aveva previsto l’introduzione degli Elenchi delle acque pubbliche; la funzione dell’elenco è di indicare i nomi e luogo di scorrimento delle acque in Italia. Secondo la giurisprudenza amministrativa “l’iscrizione nei detti elenchi ha valore costitutivo della pubblicità solo per i “corsi d’acqua” di dimensioni minori, e non anche per i “fiumi” e i “torrenti”, per i quali la pubblicità discende dalla loro stessa natura (arg. ex art. 822 cod. civ.) e l’eventuale iscrizione ha un valore meramente ricognitivo” (tra le più recenti C.d.S., Sez. IV. Sent. 4213/2016).
L’art. 2 del D.P.R. 238/1999 pur mantenendo il vigore gli elenchi ha disposto il venire meno dei loro aggiornamenti.
CATASTO (DELLE UTENZE) DELLE ACQUE PUBBLICHE – prescrive l’art. 5 del RD 1775/1933 che presso ogni provincia, a cura del Ministero delle Finanze è conservato il catasto delle utenze delle acque pubbliche.
Il Catasto ha lo scopo di censire le derivazioni delle acque pubbliche; il suo scopo, squisitamente di carattere fiscale, è di consentire alle Amministrazioni di riscuotere i canoni derivanti dalle concessioni nonché di verificare la tempestività degli adempimenti contabili dei concessionari.
Nel catasto sono indicate le derivazioni [rectius forme di utilizzo] grandi e piccole delle acque
CONTENZIOSI IN MATERIA DI UTILIZZO DELLE ACQUE PUBBLICHE

Le controversie in materie di acque pubbliche sono sottoposte alla giurisdizione del Tribunale Regionale delle acque Pubbliche (abbreviato TRAP).
I TRAP sono costituiti presso otto distretti di Corte di Appello e svolgono la funzione di giudice di primo grado nelle controversie vertenti l’utilizzo delle acque pubbliche (ex art. art. 140 del RD 1775/1933).
Le funzioni di giudice di appello in materia di gestione delle acque pubbliche sono affidate al TSAP (Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche). Eccezionalmente, per le materie previste dall’art. 143 RD 1775/1933, il TSAP svolge la funzione di giudice di primo grado.
(per approfondimenti sul TRAP e il TSAP si rinvia al presente link).
di:
Avv. Lorenzo Marranci – Avvocato presso Rocchi & Avvocati