Immobili diruti e unità collabenti: la disciplina giuridica dei ruderi

PREMESSA: INQUADRAMENTO DEL TEMA

Il decorso del tempo, l’agire dei fenomeni atmosferici o eventi catastrofici (come terremoti o maremoti) possono arrecare gravi danni a beni immobili sino a renderli “ruderi”.

Nel linguaggio comune si intende “rùdere (raro rùdero) s. m. [dal lat. rudus -dĕris]. – 1. Si usa quasi sempre al plur., per indicare avanzi di costruzioni edilizie o di statue antiche” (definizione ricavata da TRECCANI, dizionario Online).

La definizione giuridica di rudere è ricavabile dalla giurisprudenza (prevalentemente amministrativa): sono ruderi i “residui edilizi inidonei a identificare i connotati essenziali dell’edificio” (ex multis e tra le più recenti T.A.R. Toscana Sent. 286/19).

In ambito tecnico si preferisce utilizzare il termine diruto” per identificare i ruderi.  

La legislazione della Regione Liguria (n. 30/19) definisce come “fabbricato diruto” quell’immobile le “cui parti, anche significative e strutturali, siano andate distrutte nel tempo, ma di cui sia possibile documentarne l’originario inviluppo planivolumetrico complessivo e la originaria configurazione tipologica” (art. 1 lett. e).

Le principali fonti a livello nazionale (es. codice civile) non trattano espressamente lo stato di questi beni immobili.

Lo stesso T.U.E. (rectius Testo Unico sull’Edilizia – D.lgs 380/01) disciplina gli immobili diruti solo indirettamente: ossia nelle norme (artt. 3 e 3 bis) volte relative agli interventi per la manutenzione e la ristrutturazione degli immobili.

I ruderi vengono anche identificati quali “unità collabenti”. Tratta delle unità collabenti l’art. 3, co. 2, del D.M. 28 gennaio 1998 (“Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale”).

La disposizione in commento, che rileva sotto il profilo fiscale dei ruderi, si limita ad indicare come tale qualifica sia correlata alla inidoneità di questi beni a produrre reddito causa il loro stato di degrado.

 Il termine collabente (participio passato del verbo “collabire”) è significativo: a livello etimologico esso identifica qualcosa che pur esistente sta andando in contro ad una lenta ed inesorabile rovina (Agenzia delle Entrate, Quaderni dell’Osservatorio).

Anche se privi di capacità reddituale le unità collabenti devono essere iscritte nei registri del catasto. Tale iscrizione ha infatti il precipuo scopo di dare certezza ai traffici giuridici (comprendere chi è titolare di un bene).

Precisa infatti l’Agenzia delle Entrate che: “il catasto non ha valenza probatoria (a differenza di quello tavolare) in ordine all’accertamento dei soggetti che detengono la proprietà o altri diritti reali su beni immobili, ma, d’altra parte, l’individuazione fisica di tali beni non può prescindere da quanto risulta al catasto”.

Si noti che una recente ordinanza (n. 90 del 24/01/2020) della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha introdotto una tabella finalizzata a consentire ai Comuni di identificare i criteri per l’accertamento dello stato di collabenza.

IMMOBILI DIRUTI E IN STATO DI ABBANDONO

Un immobile non può essere privo di proprietario.

L’eventuale “abbandono” (allontanarsi dal bene per non effettuare più ritorno) è una mera situazione fattuale che non ha rilevanza giuridica. Può assumerne rilevanza solo in seguito al passaggio del tempo ed ad un’azione specifica di un ulteriore soggetto giuridico il quale vuole assumere la proprietà del bene. L’abbandono non è dunque – di per sé solo – un comportamento idoneo a far venire meno la proprietà del bene.

L’abbandono di un rudere non priverà il proprietario dalla titolarità del suo bene.

La titolarità del diritto di proprietà di un immobile può venire meno unicamente tramite:

– vendita
– rinuncia
(c.d. rinuncia abdicativa al diritto di proprietà).

Vendita

La vendita nel nostro ordinamento è disciplinata dagli artt. 1470 ss c.c. e rappresenta il principale contratto nominato (regolato esplicitamente dal codice civile) esistente in Italia.

Tramite un contratto di compravendita il compratore acquisterà la proprietà del bene dietro il pagamento del corrispettivo pattuito. Trattandosi di beni immobili le norme del codice civile dovranno essere integrate con le disposizioni di cui agli artt. 46 ss T.U.E. (c.d. commerciabilità degli immobili – per approfondimenti clicca qua).

Rinuncia

È possibile rinunciare alla proprietà di un immobile.

Il codice civile ne ammette gli effetti ove riconosce la rinuncia al diritto di proprietà (c.d. abdicativa) di cui all’art. 827 c.c. (586 c.c. in ambito successorio); tale disposizione – si evidenzia residuale – prevede che gli immobili privi di proprietario appartengono allo Stato.

Da questa disposizione si comprende che gli immobili non possono mai diventare res nullius (cioè beni che non appartengono a nessuno).

In caso di rinuncia o morte senza eredi tali beni passano allo Stato. 

La rinuncia, non è un mero comportamento fattuale, ma è un atto che deve rivestire forma scritta ex art. 1350, co. 1 nn. 1 e 5, c.c..

Oltre a questa dichiarazione scritta, il rinunciante dovrà compiere ulteriori formalità quali:

– il pagamento di un’imposta di bollo dal valore di 230 euro – secondo quanto illustrato dalla tabella annessa al D.P.R. 642/1972 (“disciplina dell’imposta di bollo”) modifico dal art. 1, co. 1 bis, del DM 22 febbraio 2007in quanto trattasi di un “atto avente ad oggetto la rinuncia di un immobile”.

– Il pagamento di una tassa ipotecaria dal valore di 90 euro (35 euro per la trascrizione + 55 euro per le volture) secondo quanto riportato dalla tabella allegata al D.lgs. 347/1990.

Alcuni immobili non possono essere oggetto di rinuncia: e il caso disciplinato dall’art. 1118, co. 2 c.c. precisa che “il condomino non può rinunciare alle cose in comune”.

Occupazione di immobili

Dato che gli immobili avranno sempre un proprietario (in assenza di qualsiasi persona fisica o giuridica la loro proprietà spetta allo Stato) non sarà possibile acquisire la proprietà di tali beni mediante occupazione (modo di acquisto della proprietà ex art. 923 c.c. relativo ai soli beni mobili). In un eventuale caso di “occupazione”, o meglio di “spoglio” del bene, (comportamento che riveste carattere di illecito penale ex art. 637 c.p. – norma rubricata invasione di terreni o edifici) il proprietario potrà agire in reintegrazione ex art. 1168 c.c. e conseguire nuovamente il possesso del bene cui ha sofferto lo spoglio.

RESPONSABILITÀ PER EVENTUALI DANNI CAGIONATI DAL RUDERE

Il decorso del tempo può comportare danni alla struttura dell’immobile. Per tale ragione, periodici interventi di manutenzione sono necessari. Alcuni accadimenti come il crollo di parti dell’immobile possono arrecare danni a passanti o veicoli parcheggiati vicino allo stabile.

Questi danni rientrano nel novero dell’art. 2053 c.c. (norma rubricata responsabilità per danni da rovina di edifici); tale disposizione prescrive che il proprietario dell’immobile risponde dei danni causati dalla rovina dell’edificio salvo che non riesca a dimostrare che i danni non siano dovuti da difetto di manutenzione (ove l’immobile sia oggetto di tali opere) o da un vizio della costruzione.

Limitatamente a questi specifici casi: in presenza di un difetto di manutenzione sarà responsabile la società incaricata per effettuare i restauri dell’immobile; in presenza di un vizio della costruzione risponderà la società che aveva realizzato lo stabile.

La dottrina stabilisce che questa responsabilità può essere estesa in via analogica a tutti coloro che vantano sull’immobile un diritto reale di godimento sul bene immobile, quale usufrutto (artt. artt. 978 ss c.c.), uso o abitazione (artt. 1122 c.c.) oppure in forza di un diritto di concessione in uso demaniale di un bene.

Non risponderanno di questa forma di responsabilità coloro che hanno il possesso o la detenzione dell’immobile senza essere proprietari o titolari di un diritto di godimento sul bene (C. M. BIANCA, La responsabilità, p. 738).

RESTAURO & RICOSTRUZIONE

Un rudere potrà essere ristrutturato oppure demolito e ricostruito.

 Molto spesso, nel caso di ristrutturazione edilizia, il primo passo che viene compiuto consiste nella demolizione dei resti dell’immobile.

Una recente pronuncia del T.A.R. per la Lombardia – adito in quanto il proprietario di un rudere si vedeva respinta la domanda di ristrutturazione del bene in quanto identificato come nuova costruzione – offre indicazioni circa i requisiti per i quali un intervento possa essere qualificato  “ristrutturazione”; secondo quanto statuito dal giudice amministrativo è “necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come ristrutturazione, che l’originaria consistenza dell’edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali [“quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diruto”] od altri elementi certi e verificabili” (T.A.R. per la Lombardia – Brescia, Sez. I, Sent.  517/2020).

RUDERI ED AGIBILITÀ

L’agibilità, da intendersi come sinonimo di abitabilità (studio notarile n. 4512), è una delle caratteristiche dell’immobile. L’art. 24 T.U.E. precisa che un immobile è agibile se soddisfa gli standard di sicurezza, di igiene, si salubrità, di risparmio energetico e di rispetto degli obblighi di infrastrutture digitali prescritti dal nostro ordinamento (per approfondimenti sul tema dell’agibilità degli immobili clicca qua).

Un immobile diruto (e collabente al catasto) non è in grado di soddisfare i requisisti dettati dall’articolo citato, quindi: TALI IMMOBILI NON SONO AGIBILI/ABITABILI!

Quanto affermato trova riscontro nell’art. 6 lett. c del D.M. 28 gennaio 1998, norma che stabilisce che sono collabentile costruzioni non abitabili o agibili e comunque di fatto non utilizzabili (…)”

Tuttavia al contrario un immobile non agibile non necessariamente è un rudere o un’unità collabente. È infatti inagibile qualsiasi immobile che non soddisfa i requisiti dettati dall’art. 24 T.U.E. (es. mancanza di rete idrica).

PROFILO FISCALE: UNITÀ COLLABENTI

L’art. 3, co. 2 lett. b, del DM 28 febbraio 1998 definisce come collabenti le “costruzioni inidonee ad utilizzazioni produttive di reddito a causa dell’accentuato livello di degrado” Questi immobili sono collocati nella categoria F/2.

Secondo quanto riportato dall’Agenzia delle Entrate nel 2018 548.148 erano gli immobili rientranti nella categoria castale F/2. Il 32% di questi immobili si trova nelle regioni del nord; il 20% nel centro; il 32% nel sud e il 16% nelle isole.

Per le ragioni sopra illustrate nella parte introduttiva questi immobili sono comunque iscritti nei registri del catasto.

La “declassificazione” di un immobile in unità collabente non è un’operazione automatica. L’Agenzia delle Entrate precisa che per accatastare il bene collabente nella categoria F/2 il proprietario dell’immobile è tenuto ad effettuare:

una relazione sullo stato dei luoghi, con particolare riferimento alle strutture e alla conservazione del manufatto (corredata di documentazione fotografica), sottoscritta da un tecnico;
• un’autocertificazione, resa dall’intestatario del bene, attestante l’assenza di allacciamento dell’unità alle reti dei servizi pubblici dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas. [documento attestante la non agibilità del bene].

Fino all’entrata in vigore dell’art. 1, co. 741 della legge di bilancio 2020 (articolo di riforma dell’IMU) si affermava che le unità collabenti non fossero soggette ad IMU-ICI. Data l’assenza di una base imponibile (rendita dell’immobile = 0) si riteneva che l’immobile non potesse essere tassato; allo stesso modo non poteva essere tassata l’area ove sorgeva l’immobile come area edificabile.

Quanto affermato trovava riscontro in una serie di pronunce della suprema Corte di Cassazione che affermavano: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il fabbricato accatastato come unità collabente (categoria F/2), oltre a non essere tassabile come fabbricato, in quanto privo di rendita, non è tassabile neppure come area edificabile” (ex multis Cass. Sez. V, Sent. 23801/17).

Lo stesso orientamento era ravvisabile dalle Commissioni Tributarie; sul punto infatti: “in tema di Imu, è illegittimo l’assoggettamento degli immobili collabenti all’imposta, poiché essi non sono produttivi di reddito, essendo classificati nella categoria catastale F/2, dovendosi escludere la tassabilità dell’area che, pur essendo astrattamente riedificabile qualora fosse demolito l’edificio soprastante, non è suscettibile di autonoma utilizzazione fino a quando esso vi permanga” (Comm. Trib. Prov. Lombardia – Como, Sez. I, 27.08.2019).

A partire dall’entrata in vigore della norma la situazione è cambiata: la riforma prevede che tutti i fabbricati (quindi anche le unità F/2 – collabenti) devono essere iscritti nel catasto con “attribuzione di rendita catastale”.

La nuova formulazione della norma ha portato al venire meno degli orientamenti consolidati. Oggi si ritiene che pur non essendo tassabile l’immobile in quanto privo di reddito, potrà essere tassata l’area ove sorge l’immobile in quanto edificabile (es. – per un immobile situato su un terreno agricolo dovrà essere corrisposta l’IMU sul terreno).

di:
Avv. Carlo Rocchi – Fondatore di Rocchi &Avvocati
Avv. Lorenzo Marranci – Avvocato presso Rocchi & Avvocati

Riforma concessioni demaniali marittime – A.S. 2469 (D.D.L. Concorrenza)

PREMESSA

Approvato dal Senato, in data 30 maggio 2022, con 180 voti favorevoli, 26 contrari e 1 astenuto (totale 207 Senatori votanti), il testo dell’Atto del Senato n. 2469 (c.d. D.D.L. Concorrenza) che introduce novità in ambito di concessioni demaniali marittime. Alla data corrente, inizio di Giungo 2022, il D.D.L. è stato assegnato alla Camera (C. 3634) ma questo ramo del Parlamento non ne ha ancora iniziato l’esame.

La riforma mira a promuovere la concorrenza nel nostro Paese (ex art. 117 lett. e Cost.) in modo di garantire l’accesso al mercato anche alle imprese di piccole dimensioni, migliorare la qualità dei servizi, rimuovere gli ostacoli di carattere normativo e amministrativo all’apertura dei mercati e tutelare i consumatori (art. 1 del D.D.L. rubricato “finalità”).

Il D.D.L. non si occupa solo del tema delle concessioni demaniali (disciplinate dal Capo II: artt. 2 – 7) ma nei suoi 36 articoli affronta ulteriori tematiche quali: servizi pubblici locali e trasporti (Capo III: artt. 8 – 12) fonti energetiche e della sostenibilità ambientale (Capo IV: artt. 13 – 15), della tutela della salute (Capo V, artt. 16 – 22), infrastrutture digitali e dei servizi di comunicazione telefonica (Capo VI: artt. 23 – 26), rimozione degli oneri per le imprese e della parità di trattamento tra gli operatori (Capo VII: artt. 27 – 31), rafforzamento dei poteri in materia di attività antitrust (Capo VIII: artt. 32 – 35).

Tra le molteplici materie affrontate, trattano esclusivamente del tema delle concessioni del demanio marittimo, lacuale fluviale (in ambito sportivo, turistico-ricreativo e portuale) gli artt. 2 – 5 del D.D.L. Concorrenza (per il testo delle singole disposizioni clicca qua).

Le disposizioni in commento perseguono il duplice scopo di:

incentivare la possibilità che nuovi operatori possano diventare titolari di concessioni demaniali (previsione finalizzata ad introdurre un mercato maggiormente concorrenziale);

tutelare i precedenti titolari delle concessioni demaniali (misure volte a proteggere la posizione e l’occupazione dei precedenti titolari).

Queste finalità non saranno perseguite direttamente dal D.D.L.: la riforma prevede che verranno emanate specifiche fonti governative volte ad integrare e specificare con maggiore precisione il contenuto del D.D.L. concorrenza.

Di seguito le novità apportate dalla riforma.:

INTRODUZIONE DI UN SISTEMA DI MAPPATURA DELLE CONCESSIONI DEMANIALI (art. 2)

Il D.D.L. introduce un sistema di mappatura telematica delle concessioni esistenti all’interno del quale verranno indicate le qualità del bene in concessione e le generalità dei soggetti titolari della concessione. Tali divulgazioni dovranno avvenire nel rispetto dei principi indicati dal Codice della privacy del 2021 e del GDPR; non potranno quindi essere divulgati i dati sensibili dei titolari dei beni.

Lo scopo della divulgazione di tali dati è di consentire a soggetti terzi di avere le informazioni necessarie sul bene; in questo modo gli interessati potranno presentare offerte congrue ed adeguate in proporzione alle qualità e allo stato del bene demaniale.

Il D.D.L. concorrenza prevede che questo sistema informatico verrà avviato entro la fine del 2023; ciò è ricavabile indirettamente dalla norma: essa prevede che al fine di progettare e sviluppare il sistema informatico verranno stanziate le somme di un milione di euro per l’anno 2022 e di due milioni per l’anno 2023. Dispone inoltre che a partire dal 2024 verranno stanziate le somme di due milioni annui per la manutenzione e lo sviluppo del programma. Le somme per finanziare il progetto (un milione per il 2022 e due per il 2023) saranno prelevate da uno specifico fondo previsto nell’ambito del programma “fondi di riserva e speciali” che rientra tra i c.d. “fondi da ripartire” previsti dal Ministero delle Economie e delle finanze nel 2021 nell’ambito del bilancio triennale 2021-2023 (co. 3 e 4).

Nessuna nuova forma di tassazione è quindi prevista per il finanziamento del progetto in commento.

Il D.D.L. (co. 2) precisa che verrà emanato un decreto legislativo volto a regolare il sistema di mappatura prevedendo:

cosa potrà essere rilevato: saranno contenuti in questo archivio tutti gli atti, contratti o convenzioni che attribuiscono ai privati o a soggetti pubblici l’utilizzo esclusivo di un bene (c.d. concessioni).

– l’indicazione dei titolari delle concessioni: nella specifica banca dati telematica saranno contenuti i nominativi ed i dati dei soggetti titolari delle concessioni.

– quali dati del bene in concessione dovranno confluire nell’archivio telematico: identificazione della data in cui è stato ottenuto il bene e della data di scadenza della concessione con ulteriore indicazione di eventuali rinnovi a favore dello stesso soggetto o ad una società collegata nonché dell’ammontare dei canoni.

– quale sistema informatico gestirà i dati: oltre a prevedere quale apposito sistema informatico sarà volto alla gestione e alla divulgazione dei dati, il D.D.L. auspica l’introduzione di un sistema interattivo capace di “dialogare” con gli altri archivi informatici. In tale modo la riforma vuole offrire alla collettività un servizio telematico ampiamente efficiente.

Il D.D.L. prevede che sarà il Ministero delle Economie e Finanze a gestire la pianificazione e il futuro sviluppo del sistema.

DISPOSIZIONI SULL’EFFICACIA DELLE COCNESSIONI DEMANIALI (art. 3)

La riforma vieta il sistema delle proroghe automatiche stabilendo che le concessioni in essere rimarranno in vigore fino alla data (già indicata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le Sentt. 17 e 18/2021 – per approfondimenti sulle pronunce clicca qua) del 31 dicembre 2023 (co. 2).

In via eccezionale, se sussistono ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro la data fissata (esempi indicati dalla norma: un contenzioso o difficoltà nello svolgimento della procedura per la scelta di un nuovo concessionario) l’Amministrazione, con atto motivato potrà posticipare il predetto termine ma non oltre il 31 dicembre 2024. Fino a quando non verrà conclusa la procedura di scelta del concessionario, l’attuale titolare della concessione rimarrà nella disponibilità del bene. Quest’ultimo, per il fatto di conservare la sua posizione non risponderà della contravvenzione di cui all’art. 1161 c. nav., norma rubricata “abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata”- fattispecie che sanziona con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516,00 euro chi arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo – (co. 3).

Dispone il medesimo articolo che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dovrà presentare entro il 30 giugno 2024 una relazione alle Camere volta ad evidenziare lo stato e lo sviluppo delle concessioni, illustrando quali procedure risultano già concluse alla data indicata e quali sono ancora in fase di svolgimento. Eccezionalmente, il Ministro potrà differire la sua relazione prestandola alle Camere in una data successiva; in ogni caso il termine ultimo entro il quale presentare la relazione è il 31 dicembre 2024. Nel caso in cui la relazione non venga presentata entro il 30 giugno 2024 il Ministro è tenuto a motivare le ragioni che gli hanno impedito di procedere entro la data fissata dalla norma (co. 3 e 4).

La norma (co. 5) abroga alcune precedenti disposizioni in materia di concessioni demaniali marittime quali:

– i commi 675 – 683 dell’art. 1 della legge 145/2018 (legge di “bilancio di previsione per il triennio 2019-2021”);

– il comma 2 dell’art. 182 del D.L. 34/2020 convertito in legge 77/2020 (legge recanti “misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza COVID-2019);

– il comma 1 dell’art. 100 del D.L. 104/2020 convertito in legge 126/2020 (legge recanti “misure urgenti per il rilancio dell’economia”)

RIFORMA DEL SETTORE DELLE CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME (art. 4)

Il presente articolo autorizza il governo ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore del D.D.L. uno o più decreti legislativi finalizzati ad introdurre criteri omogenei per la scelta degli operatori economici (co. 1).

Beni oggetto del presente articolo sono le aree demaniali marittime, lacuali o fluviali; rimangono escluse per espressa previsione della norma le aree relative alla cantieristica navale, all’acquacultura e alla mitilicultura (co. 1).

Il o i futuri decreti legislativi dovranno introdurre appositi meccanismi volti a promuovere un mercato maggiorante concorrenziale. La scelta del soggetto cui affidare il bene dovrà avvenire tenendo tuttavia conto della professionalità o della competenza maturata dal concessionario uscente (requisito che però non può comportare un rinnovo automatico pena la violazione della concorrenza).

Nella scelta del concessionario la riforma dovrà inoltre premiare gli operatori (co. 2 lett. e n. 1 ss):

muniti della certificazione di parità di genere (art. 46 bis Dlgs 198/2006 – c.d. codice pari opportunità) o di imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile;

– che risultano in grado di offrire un adeguato e funzionale servizio agli utenti consentendo l’accesso agli impianti a soggetti affetti da disabilità o che comunque hanno realizzato le loro opere con il minore impatto ambientale possibile.

La previsione di questi criteri ha lo scopo di ridurre il più possibile la discrezionalità della P.A. nella scelta dell’operatore da preferire e di giungere in questo modo all’introduzione di parametri oggettivi per stabilire a chi attribuire il bene.

Inoltre saranno chiarite le condizioni ed i casi in cui potranno realizzarsi subingressi di ulteriori operatori nella stessa concessione (co. 2 lett. g).

Verrà fissata la durata massima delle concessioni, le quali non potranno durare per un periodo superiore a quanto necessario ad ammortare gli investimenti effettuati sul bene (co. 2 lett. e n. 7).

Con lo scopo di prevenire ed evitare il formarsi di posizioni monopolistiche il D.D.L. stabilisce il tetto massimo di concessioni che potranno essere attribuite allo stesso operatore (co. 2 lett. l).

Vengono previste anche misure volte a tutelare i precedenti titolari e tutti coloro che hanno utilizzato la concessione (nei cinque anni anteriori all’avvio della procedura selettiva) quale unica o prevalente fonte di reddito per sé e per il nucleo familiare (co. 2 lett. e n. 5.2). Saranno anche stabiliti criteri per quantificare gli indennizzi da riconoscere a carico del concessionario uscente (co. 2 lett. i).

La riforma interviene anche al fine di introdurre paramenti volti a stabilire l’importo dei canoni di concessione; essi dovranno essere parametrati tenendo conto del pregio naturale e della redditività del bene (co. 2 lett. f).

CONCESSIONI DI AREE E BANCHINE (art. 5)

L’art. 5 del DDL prevede una riscrittura dell’art. 18 della legge 84/94 articolo, come da rubrica, volto a disciplinare le “concessioni di aree o banchine”. Tali previsioni, alla luce dell’ultimo comma della norma si applicano anche ai depositi e agli stabilimenti petroliferi e chimici allo stadio liquido nonché di altri prodotti affini situati in ambito portuale (co. 18).

La norma prevede l’introduzione di una apposita fonte governativa (un regolamento ex art. art. 17, co. 3, D.lgs 400/88 adottato con decreto del Ministero delle Infrastruttura di concerto con il Ministero delle Economia e Finanze) che stabilirà:

criteri uniformi per l’assegnazione delle concessioni (co. 2);

– indicazione della loro durata (tetto massimo 10 anni);

– i soggetti che dovranno vigilare sul corretto svolgimento della procedura di selezione.

Coloro che intendono ottenere il bene dovranno presentare domanda all’Amministrazione territorialmente competente (Autorità di sistema portuale e ove non istituita l’Autorità marittima) presentando uno specifico piano di attività, assistito da idonee garanzie (anche di tipo fideiussorio), volto ad incrementare i traffici e la produttività del porto. Il richiedente dovrà dimostrare di essere in possesso di attrezzature tecniche-organizzative e della forza lavoro adeguata per il raggiungimento di tale obbiettivo (co. 8).

Il concessionario scelto dalla P.A. dovrà esercitare direttamente l’attività per la quale ha ottenuto il bene. La norma tutela la concorrenza prevedendo che il concessionario non può essere allo stesso tempo titolare di una seconda concessione nello stesso porto. Questo divieto non si applica nei porti di rilevanza economica internazionale o nazionale tuttavia in questo caso la norma vieto lo scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali appartenenti allo stesso concessionario o a soggetti a questa riconducibili (co. 9).

Spetterà alla P.A. (Autorità di sistema portuale e ove non istituita l’autorità marittima) verificare la sussistenza in capo al concessionario dei requisiti che hanno giustificato l’attribuzione del bene al concessionario. Il venire meno di tali requisiti porterà la P.A. a revocare (ex art. 21 quinques LPA) la concessione al titolare. A cadenza annuale l’amministrazione dovrà vigilare sull’effettiva sussistenza di tali requisiti (co. 10 -11).

di:
Avv. Lorenzo Marranci – Avvocato presso Rocchi&Avvocati