LA SUCCESSIONE DEI BENI (MOBILI) DI VALORE STORICO E ARTISTICO
La direttiva U.E. sulla prestazione energetica nell’edilizia (c.d. “direttiva case green”)
Il Comandante della nave ed i suoi poteri ai sensi del Codice della Navigazione
La sdemanializzazione tacita
Gli abusi edilizi la commerciabilità degli immobili da essi gravati
La fortuna di mare
PREMESSA
Il termine “fortuna di mare” può farci immaginare l’avverarsi di un evento propizio (come una situazione di vento ideale per la navigazione) oppure il ritrovamento di un ricco tesoro (come nell’opera di Dumas il Conte di Montecristo).
Nella nautica e nel mondo del diritto questo termine assume un significato opposto.
Il termine fortuna di mare è utilizzato per identificare tutte le conseguenze dannose o pericolose che possono avvenire nel corso della navigazione. Lo stesso termine nautico “fortunale” (vento con forza 11 sulla scala di Beaufort) è utilizzato per definire le perturbazioni atmosferiche di intensità molto alta e quindi capaci di provocare gravi danni agli edifici costieri e alle navi presenti in acqua.
Per quanto riguarda i due esempi precedentemente effettuati:
– L’evento propizio non ha regolazione giuridica in quanto il diritto regola i problemi e non gli aspetti completamente privi di insidie.
– In riferimento al ritrovamento del tesoro si applicherà quanto previsto dall’art. 927 – 929 c.c. norme che regolano la disciplina giuridica dei ritrovamenti delle cose. Tuttavia se la res ritrovata presenta valore storico artistico o culturale (c.d. bene culturale) si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 90 – 93 del Codice dei beni culturali.
LA FORTUNA DI MARE – ASPETTI GIURIDICI
Dal punto di vista giuridico la fortuna di mare è regolata, da tre articoli del codice della navigazione: l’art. 391 c. nav. (norma rubricata “impedimento temporaneo), l’art. 422 c. nav. (norma rubricata “responsabilità del vettore”) e l’art. 521 c. nav. (norma rubricata “rischi della navigazione”).
Siccome la fortuna di mare rappresenta un evento infausto, la sua regolazione giuridica rileva al fine di disciplinare le responsabilità per eventuali danni (artt. 391 e 422 c. nav.) oppure in materia di contratti di assicurazione (art. 521 c. nav.)
Data la portata internazionale del diritto della navigazione si offre un’analisi anche di quanto previsto in tema di fortuna di mare nei Paesi di Common law.
Dal punto di vista del diritto interno:
1) art. 521 c. nav.
L’art. 521 c. nav., tratta indirettamente del tema della “fortuna di mare”. La norma presenta un elenco di eventi nefasti: “tempesta, naufragio, investimento, urto, getto, esplosione, incendio, pirateria, saccheggio ed in genere [per] tutti gli accidenti della navigazione”.
In relazione alle tempeste è necessario un ulteriore chiarimento: non ogni tempesta può essere intesa come fortuna di mare; possono rientrare nel novero delle fortune di mare le onde ed i venti di intensità tale “da essere invincibili, per la loro violenza, dalle difese del personale di bordo” (c.d.a Messina 1980). Secondo la giurisprudenza i venti devono essere superiori di forza superiore a 7 sulla scala di Beaufort – c.d. vento forte (Cass. Sent. n. 5123/95).
L’art. 521 c. nav. non offre quindi una definizione di fortuna di mare ma effettua un elenco di singole “fortune”. L’elenco di accadimenti indicati dall’art. 521 c. nav. riprende quanto indicato dall’art. IV, par. 2, della Convenzione di Bruxelles del 1924 sull’unificazione delle regole in materia di polizza di carico (c.d. Regole dell’Aja). L’art. IV, par. 2, della convenzione di Bruxelles identifica nelle lettere a) – q) diciassette casi di “pericoli” cui una nave può incorrere.
In presenza degli eventi descritti dall’art. 521 c. nav. l’assicuratore è tenuto ad indennizzare l’assicurato per i danni subiti. Tuttavia sarà a carico dell’assicurato dimostrare il nesso tra il danno subito (danni alla nave) e l’evento nefasto (fortuna di mare). In particolare modo dovrà essere dimostrato che prima dell’avverarsi della fortuna di mare la nave non presentava danni. Oppure il danneggiato dovrà fornire prova che il danno subito sia derivato da uno degli eventi coperti dall’assicurazione.
Al contrario spetterà all’altro soggetto – l’assicuratore – dimostrare l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi e estintivi (cioè l’esistenza dei fatti che negano le pretese della controparte).
Tutto ciò alla luce di quanto disposto dall’art. 2697 c.c. (c.d. onere della prova sostanziale) in forza del quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. La norma continua al secondo comma illustrando che “chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
2) art. 422 c. nav.
L’art. 422 c. nav., norma in tema di contratto di trasporto di cose (artt. 419 – 438 c. nav.), prevede un riferimento esplicito al tema della fortuna di mare: il presente articolo stabilisce (al primo comma) la responsabilità del vettore per i danni arrecati alle cose caricate a bordo. Spetterà quindi a quest’ultimo risarcire gli eventuali danni.
In forza del principio, sopra illustrato, dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., è a carico dell’avente diritto alla riconsegna delle cose caricate a bordo provare e dimostrare che il danno sia derivato da colpa del vettore o dei membri dell’equipaggio.
Tuttavia, continua l’art. 422, al secondo comma, prevedendo che se i danni sono derivati da fortuna di mare “oppure incendio non determinato da colpa del vettore pirateria, fatti di guerra, sommosse e rivolgimenti civili, provvedimenti di autorità di diritto o di fatto, anche a scopo sanitario, sequestri giudiziari, scioperi o serrate, impedimenti al lavoro generali o parziali, atti o tentativi di assistenza o salvataggio ovvero deviazione del viaggio fatta a tale scopo, cattivo stivaggio, vizio proprio della merce, calo di volume o di peso, insufficienza degli imballaggi, insufficienza o imperfezione delle marche, atti od omissioni in genere del caricatore o dei suoi dipendenti o preposti” la responsabilità del vettore è esclusa.
3) art. 391 c. nav.
L’art. 391 c. nav., rientra nel novero delle disposizioni, previste dal nostro codice della navigazione, in tema di contratti di noleggio (artt. 384 – 395 c. nav.).
Essa prevede che il nolo a tempo (ossia il corrispettivo per il noleggio della nave, in questo caso definito “time charter”) non è dovuto qualora venga dimostrato che la nave non è stata utilizzata per causa non imputabile al noleggiatore. Tuttavia, il nolo, seppure ridotto in proporzione al tempo di inutilizzazione del bene noleggiato, è invece dovuto se l’impossibilità di utilizzare la nave è dovuta da fortuna di mare [oppure “per accidente subito dal carico, ovvero per provvedimento di autorità nazionale o straniera”] (391, co. 2, c. nav.).
4) La prospettiva comparata
Anche i Paesi di common law riconoscono l’esistenza delle fortune di mare.
In questi Stati, tali eventi dannosi vengono definiti come “perils of the sea”, termine letteralmente traducibile come “pericoli del mare”.
Ai perlis of the sea vengono contrapposti i c.d. “act of God” traducibili come “atti di Dio” o come casi di forza maggiore.
• I perlis of the sea corrispondo a quanto indicato nella lettera c) della Convenzione di Bruxelles cioè i casi di “rischi, pericoli e infortuni in mare o di altre acque navigabili”.
• Gli act of God trovano disciplina nella lettera d) della stessa Convenzione di Bruxelles cioè “forza maggiore (atto di Dio)”. Il presente termine (previsto nel nostro ordinamento all’art. 45 c.p.) è utilizzato per identificare tutti gli eventi irresistibili, improvvisi ed inevitabili causati dalle forze naturali e non dall’agire dell’uomo.
Proprio per questa ripartizione e distinzione tra perlis of the sea e act of God la nostra giurisprudenza nega una equiparazione tra i perlis of the sea e le fortune di mare (sul punto la già citata Cass. Sent. n. 5123/95). Quindi, alla luce della giurisprudenza citata, la definizione dei perlis of the sea deve essere ricavata dalla prassi di tali Paesi.
La nozione di perlis of the sea è andata ad espandersi non comprendendo le sole ipotesi indicate dalla lettera c) dell’art. IV par 2 della Convenzione di Bruxelles.
Secondo al dottrina anglo-americana vi rientrano anche i seguenti ulteriori eventi:
“foundering” (naufragio) – Quando la nave non arriva al luogo di destinazione e non si hanno più sue notizie. In questi casi si realizza una presunzione di naufragio (previsione simile a quanto previsto dal nostro art. 58 c.c. ove si presume la morte di una persona se non si hanno più sue notizie per oltre dieci anni).
“ship wreck” (distruzione) – Quando si verifica un qualsiasi evento che possa portare alla distruzione o a gravi danni della nave (es. collisione con uno scoglio purché non volontario).
“stranding” (spiaggiamento) – Quando la nave subisce gravi danni alla carena o ad altre sue parti a seguito dell’incagliamento in acque basse o nella costa. Per rientrare nel novero dei perils of the sea lo “stranding” non deve essere volontario ma cagionato dal moto ondoso.
“collission” (urto) – in questo caso si dovrà tenere conto di quanto indicato dalla convenzione di Bruxelles del 1910 sull’urto tra navi. La convenzione riconosce tre tipologie di collisioni: quelli derivanti da caso fortuito o forza maggiore ex art. 2 (corrispondenti ad act of God), da colpa ex art. 3 e da concorso di colpa ex art. 4.
“fire” (incendio a bordo) Il fuoco costituisce uno dei pericoli più frequenti a bordo delle navi. Non ogni incendio può rientrare nel novero dei perils of the sea. Vi rientrano solamente gli incendi che non costituiscono una conseguenza di difetti di costruzione o di usura della nave (i danni da usura non sono “perils”).
“enemies” (danni da cattura) – ipotesi che oggi generalmente si realizza come conseguenza di atti di pirateria.
“breakage of goods” (danni alla merce caricata) – Generalmente i danni provocati alla merce a bordo sono a carico del vettore (come indicato dall’art. 422 c. nav.). Tuttavia, se viene dimostrato che i danni sono stati arrecati dal moto ondoso particolarmente forte allora verrà esclusa ogni responsabilità a suo carico.
Come nel nostro Paese spetterà al richiedente fornire la prova che il danno è stato cagionato da un “peril”. La scelta di attribuire a questo soggetto l’onere della prova deriva dal fatto che è il richiedente (generalmente il proprietario della nave) a disporre di tutte le informazioni relative sullo stato e sul funzionamento del suo bene. Inoltre, in quanto presente al momento del “peril” è proprio il richiedente l’unico soggetto ad essere in grado di documentare l’esistenza e la pericolosità dell’evento infausto subito.
di:
Avv. Lorenzo Marranci – Avvocato presso Rocchi&Avvocati